Il bicameralismo è davvero un errore?
“La tirannia del principe in un’oligarchia
non è così pericolosa per il bene pubblico
come l’apatia del cittadino in una democrazia”
Montesquieu
Renzi ha già decretato: il Senato va
abolito. Per carità, ogni opinione è lecita e non è stato certo il neo
segretario del PD il primo a parlare di
abolizione del Senato, ma in una
democrazia matura un leader politico dovrebbe anche spiegare i pro e i contro
di tale drastica decisione, e non limitarsi a giustificare la scelta con slogan
propagandistici basati sull’esigenza di tagliare i costi della politica.
A fare sponda al sindaco di Firenze era stato addirittura l’ex Presidente
del Consiglio Enrico Letta, che un po’ di tempo fa aveva dichiarato: “Il bicameralismo perfetto è una follia”.
Ma il bicameralismo perfetto è davvero un errore dei padri costituenti?
La presenza di due assemblee
elettive a cui è demandato il potere legislativo non è una prerogativa dell’Italia,
essendo il bicameralismo la forma adottata da quasi tutte le nazioni
occidentali, anche se la norma è il bicameralismo imperfetto, in cui una camera
(generalmente la camera alta) ha la funzione di esaminare più a fondo le
proposte di legge e approvare o rifiutare le decisioni della camera bassa; per
quanto riguarda gli stati federali invece la divisione dei potere è netta: una
camera (camera alta) rappresenta gli interessi federali, mentre l’altra camera
(camera bassa) quelli nazionali.
E’ invece una invenzione tutta
italiana il bicameralismo perfetto. I Costituenti, infatti , dato che la
Repubblica era sorta dopo il periodo di autoritarismo del fascismo, decisero di
adottare questo sistema in quanto garanzia di un più sicuro funzionamento
democratico dell’iter legislativo.
Il legislatore, d’altra parte, tentò
di diversificare almeno in parte le due assemblee, che risultavano altrimenti
essere identiche, in primo luogo con una legge elettorale diversa per le due
camere, usando il sistema proporzionale alla Camera, e i collegi uninominali al
Senato, ed in secondo luogo con una differente durata in carica delle due
assemblee: 5 anni per la Camera e 6 per il Senato.
In realtà l’unica differenza fra i
due rami del parlamento è quella rimasta fino ad oggi, ovvero la diversa età
per l’elettorato passivo e attivo e il numero dei parlamentari; la legge
elettorale, sebbene basata su collegi uninominali aveva un impianto
proporzionale e risultava di fatto omogenea con quella della Camera, e nel 1963
fu ridotta la durata in carica del
senato da sei a cinque anni.
Pur tuttavia l’immobilismo
legislativo vissuto in questi ultimi
anni è frutto più che altro della legge elettorale approvata nel 2005. Infatti il Porcellum, recentemente dichiarato incostituzionale, a
causa dei differenti premi di maggioranza previsti ha prodotto come risultato
diverse maggioranze in Senato e alla Camera con la conseguente paralisi del
potere legislativo.
Parliamoci chiaro, è evidente che il bicameralismo perfetto rende
il processo legislativo più lento è macchinoso: i disegni di legge vengono
discussi, emendati e approvati da un ramo del parlamento, quindi passano
all’altro ramo che può approvarli in via definitiva solo senza modificazioni;
in caso contrario il tutto dovrà tornare nuovamente al ramo del parlamento che
lo ha discusso per primo.
D’altra parte però, il bicameralismo perfetto ha l’innegabile
vantaggio di garantire una maggiore elaborazione e ponderazione delle decisioni
e di conseguenza maggior cautela nell’approvazione delle leggi; senza parlare
della possibilità, durante la cosiddetta navetta, di coinvolgere direttamente
l’opinione pubblica su determinate questioni molto controverse.
Prendiamo un esempio di stretta
attualità: viene naturale chiedersi quale sorte avrebbe avuto l’emendamento
capestro sugli gli enti locali “no slot” in assenza dei due rami del parlamento
e la possibilità di porre rimedio alla Camera su ciò che incautamente era stato
approvato dal Senato.
Pertanto, per quanto il processo
decisionale nel bicameralismo perfetto sacrifichi la celerità arrivando a volte
anche a creare veri e propri ingorghi legislativi e conflitti di attribuzione,
pur tuttavia consente di porre rimedio a leggi sviluppate male, frettolosamente
e, come capitato con l’emendamento pro gioco d’azzardo, in totale contrasto con
l’opinione pubblica.
Abbiamo quindi una classe politica
così matura e indipendente da rinunciare tranquillamente al bicameralismo
perfetto? Lascio ad ognuno di voi la risposta a tale quesito.
Cosimo
Pagliara